Non va in ospedale perché irregolare, giovane gravissimo
di Alessandro Braga
Deve aver pensato che sopportare un po' di mal di pancia sarebbe pur sempre stato meglio che rischiare di ritrovarsi con un foglio di espulsione in mano, con biglietto aereo sola andata già allegato. Peccato che i dolori addominali fossero causati da un'appendicite, trasformatasi poi in peritonite. Adesso è ricoverato all'ospedale san Matteo di Pavia. È già stato operato cinque volte, non si sa se riuscirà a sopravvivere. Sono solo i primi effetti della legge tanto cara alla Lega, che permetterebbe ai medici di denunciare gli immigrati irregolari. Non è ancora entrata in vigore, ma le sue «vittime» le ha già fatte.
Carlos ha ventun anni. È arrivato in Italia dalla Bolivia tre anni fa, non ancora maggiorenne. Fa il muratore in un'azienda di Pavia. Il suo permesso di soggiorno, richiesto nel 2007, dovrebbe arrivare a breve. Il suo datore di lavoro aspetta solo quello per metterlo in regola. Per dieci giorni se n'è rimasto a letto, con dolori addominali fortissimi e febbre altissima. Ha provato a placare le sofferenze con antipiretici e antidolorifici. Ai suoi amici che lo volevano convincere ad andare all'ospedale, ripeteva continuamente «se mi ricovero vengo espulso». Per giorni. Quando ha perso i sensi per il dolore, gli altri ragazzi che condividono con lui un vecchio appartamento alla periferia della città lombarda si sono convinti, e si sono rivolti all'ambulatorio della Caritas. Dove i volontari si sono resi immediatamente conto delle condizioni del ragazzo, e lo hanno subito portato al pronto soccorso dell'ospedale san Matteo di Pavia. Visitato d'urgenza, Carlos è stato portato in sala di rianimazione. Il referto stilato dai medici è chiaro: «Peritonite acuta, con un'infezione che interessa anche i polmoni e blocco della diuresi». È stato operato cinque volte, l'ultima due giorni fa. I medici non sanno se ce la farà. Fosse andato in ospedale subito, se la sarebbe cavata con molto meno: un'operazione di routine, qualche giorno di degenza e poi dritto a casa. Sua, quella in Italia. Perché i medici del san Matteo non lo avrebbero certo denunciato. Patrizia Monti, della direzione medica di presidio del Policlinico pavese, si appella a tutti gli immigrati della provincia: «State tranquilli, venite a farvi curare, nessuno vi denuncerà». Anche don Dario Crotti, direttore della Caritas pavese, attacca: «La storia di Carlos è emblematica di come vivono oggi gli immigrati e mette in luce la paura di chiedere aiuto, di farsi curare quando si sta male e si rischia la vita». Ma la paura tra gli stranieri irregolari è tanta. I precedenti, purtroppo, non giocano a loro favore. C'è stata la vicenda di Kante, la donna ivoriana denunciata a Napoli mentre era in ospedale per partorire. A Brescia, pochi giorni fa, una storia simile. Un ragazzo senegalese, Maccan Ba, dopo quattro giorni senza riuscire a dormire e mangiare per un ascesso, è andato in ospedale per farsi curare. Mentre andava a pagare il ticket è stato avvicinato da una guardia giurata che lo ha trascinato in caserma. Ne è uscito dopo un intero pomeriggio con un foglio di via in mano. Siamo solo all'inizio. La legge ancora non c'è, ma già i migranti hanno paura ad andare negli ospedali. E di casi come quello di Carlos, di Kante, di Maccan, ce ne saranno, purtroppo, molti altri.
Carlos ha ventun anni. È arrivato in Italia dalla Bolivia tre anni fa, non ancora maggiorenne. Fa il muratore in un'azienda di Pavia. Il suo permesso di soggiorno, richiesto nel 2007, dovrebbe arrivare a breve. Il suo datore di lavoro aspetta solo quello per metterlo in regola. Per dieci giorni se n'è rimasto a letto, con dolori addominali fortissimi e febbre altissima. Ha provato a placare le sofferenze con antipiretici e antidolorifici. Ai suoi amici che lo volevano convincere ad andare all'ospedale, ripeteva continuamente «se mi ricovero vengo espulso». Per giorni. Quando ha perso i sensi per il dolore, gli altri ragazzi che condividono con lui un vecchio appartamento alla periferia della città lombarda si sono convinti, e si sono rivolti all'ambulatorio della Caritas. Dove i volontari si sono resi immediatamente conto delle condizioni del ragazzo, e lo hanno subito portato al pronto soccorso dell'ospedale san Matteo di Pavia. Visitato d'urgenza, Carlos è stato portato in sala di rianimazione. Il referto stilato dai medici è chiaro: «Peritonite acuta, con un'infezione che interessa anche i polmoni e blocco della diuresi». È stato operato cinque volte, l'ultima due giorni fa. I medici non sanno se ce la farà. Fosse andato in ospedale subito, se la sarebbe cavata con molto meno: un'operazione di routine, qualche giorno di degenza e poi dritto a casa. Sua, quella in Italia. Perché i medici del san Matteo non lo avrebbero certo denunciato. Patrizia Monti, della direzione medica di presidio del Policlinico pavese, si appella a tutti gli immigrati della provincia: «State tranquilli, venite a farvi curare, nessuno vi denuncerà». Anche don Dario Crotti, direttore della Caritas pavese, attacca: «La storia di Carlos è emblematica di come vivono oggi gli immigrati e mette in luce la paura di chiedere aiuto, di farsi curare quando si sta male e si rischia la vita». Ma la paura tra gli stranieri irregolari è tanta. I precedenti, purtroppo, non giocano a loro favore. C'è stata la vicenda di Kante, la donna ivoriana denunciata a Napoli mentre era in ospedale per partorire. A Brescia, pochi giorni fa, una storia simile. Un ragazzo senegalese, Maccan Ba, dopo quattro giorni senza riuscire a dormire e mangiare per un ascesso, è andato in ospedale per farsi curare. Mentre andava a pagare il ticket è stato avvicinato da una guardia giurata che lo ha trascinato in caserma. Ne è uscito dopo un intero pomeriggio con un foglio di via in mano. Siamo solo all'inizio. La legge ancora non c'è, ma già i migranti hanno paura ad andare negli ospedali. E di casi come quello di Carlos, di Kante, di Maccan, ce ne saranno, purtroppo, molti altri.
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